All’alba dell’Impero Romano
Sui Colli Euganei, un mesto corteo si avvia verso la Città dei Morti.
“Chi era?” chiede Rufo a suo padre, un contadino.
“Si chiamava Marco Billieno. Era un galantuomo”, risponde il contadino, tirando su col naso.
Seguiva il corteo funebre la famiglia del morto: il loro dolore appariva composto e dignitoso, pur nella solita confusione di lamenti, di musica e danze che accompagnavano le cerimonie funebri, in un bizzarro mescolarsi di tragedia e commedia. Era sempre stato così ai funerali, fin dai tempi degli ultimi Re di Roma.
Rufo osserva gli accompagnatori di quell’ultimo viaggio sparire dietro la collina, chiedendosi se davvero la tomba per i mortali sia la fine di tutto.
31 avanti Cristo, in una casa patrizia di Roma
La notizia che serpeggia nella notte fra gli invitati al banchetto è sicura: la regina Cleopatra è finalmente vinta, e anche il suo alleato e amante Marco Antonio è scomparso con lei. Entrambi nella stessa tomba, dopo la battaglia di Azio hanno preferito darsi la morte piuttosto che cadere preda di Roma. Qualcuno, già mezzo ubriaco, alza il calice e sghignazzando esclama “Ora dobbiamo bere!”. E’ Orazio, il poeta. E tutti lo seguono, in un grande brindisi liberatorio, dove scorre a fiumi il potente vino di Cipro. Per Roma è la fine di un incubo, per il principe Ottaviano Augusto l’aprirsi di un grande disegno: il dominio di tutto il Mediterraneo, e forse anche oltre.
I soldati che così valorosamente hanno combattuto e sconfitto l’imponente flotta egiziana potrebbero essere ancora molto utili però. Dovranno essere ricompensati, e assai generosamente.
31 avanti Cristo, autunno inoltrato
In un accampamento romano da qualche parte nell’Italia centrale.
Dopo il discorso del comandante, zeppo di retorica e di vanagloria, fioccano le onorificenze e i trofei alle truppe vittoriose. Alla fine si tratta di tenerli buoni questi ragazzi di Azio, di riconoscere che fanno parte delle stesse legioni che hanno combattuto con Cesare in Gallia, e di cui il primus inter pares Ottaviano Augusto ha estremo bisogno. Ecco quindi la distribuzione di terre, di beni confiscati, di cariche interessanti (ma pur sempre piuttosto ordinarie agli occhi di chi serve all’altare del potere centrale).
Arriva il turno di Marco, un ragazzo che si era fatto un nome per aver sottratto le insegne al nemico sconfitto. Viene chiamato dal comandante in persona. Marco si avvicina cercando di dissimulare una certa aspettativa: è solo un legionario, ma sa che qualche briciola potrebbe esserci anche per lui.
“Marco. Hai fatto grandi cose ad Azio, che non sono passate inosservate in Senato. Roma è riconoscente verso il valore dei suoi soldati….sai dove si trova Este?”
“E’ a Settentrione, giusto?”
“Sì, nella Decima Regio. Una città sulle colline, piena di ogni ricchezza che un ragazzo come te possa desiderare. Sei comandato lì. Come Decurione”.
“De…decurione? Ci deve essere un errore, io sono un legionario, non è mai successo….”
“E’ una decisione dei Decurioni, sei uno di loro ora. Sei felice?”
“Sono felice, e riconoscente. Vorrei già essere a Este!”
Il comandante proruppe in una fragorosa risata.
“Fai attenzione però. Nella Decima Regio la popolazione parla perfettamente latino, ma non gli interessa parlarlo. Non sono per niente ostili, ma di fatto parlano latino solo con le persone che non gli piacciono, e ci tengono anche a farglielo sapere. Quando invece ti parleranno nella loro lingua, e specialmente dopo un’abbondante bevuta, sarai diventato uno di loro, faranno ogni cosa per te. Non ti offendere, sono fatti così. Buon viaggio, Marco Billieno Azìaco”.
Verona, Repubblica di Venezia, fine del XVIII secolo
“Bepi, scòlteme ben. Finalmente gavemo finìo de cavar sù ste pière, deso ‘ndemo casa. Prima però va ciamar el conte, perché qua ghemo fato sù tanta roba, e lu el ga da vardar se ghe xe calcossa che ghe interessa”.
E’ il tramonto, le vecchie lapidi divelte dagli operai giacciono ammassate, vicino alla parete dello scavo nella chiesa. Fra le tante pietre bianche, friabili, ne spicca una di grande qualità, di un colore più acceso, di trachite: un materiale inusuale per le sepolture di persone comuni. Il conte ne è subito attratto. Con non poca fatica e aiutandosi con un bastone, volta personalmente quella lapide. Legge, e si rallegra: la stele è mutila, ma ciò che ne resta è notevole. La sepoltura di un Decurione, una carica onorifica locale, ma questa non è di un antico veronese. E’ di un veterano che ha visto veramente cambiare il mondo sotto i suoi occhi, e anzi ha contribuito a cambiarlo. Ha combattuto, ha visto nascere l’Impero Romano dalle navi di Azio, e poi dai campi dei Colli Euganei. Il conte fa sollevare la lapide dagli operai, la fa porre sul suo carro. Sale a cavallo, e si allontana verso casa.
“Marco Billieno figlio di Marco, della stirpe Romilia, veterano di Azio, della Legione Undicesima. Dopo la battaglia navale fu comandato alla colonia di Este e accolto come Decurione fra i Decurioni. Era un galantuomo”.
(Si ringrazia per la consulenza storica l’archeologa e collega guida Maria Elena Iuliano di Roma).